Le forme del dolore

 

Spesso non siamo consapevoli delle azioni che compiamo del nostro quotidiano: non diamo peso ad azioni fondamentali come camminare, parlare, mangiare. Siamo abituati a fare movimenti di routine per avere più spazio ed energia per “pensare ad altro”; quell’altro che spesso ci fa vivere la vita racchiusi nel nostro mondo mentale e che ci convince che sia reale.  

Questa attitudine tende ad essere portata anche nell’ora di allenamento, durante la quale non “stacchiamo la spina”, ma continuiamo a pensare a cosa abbiamo fatto prima o a cosa faremo dopo. In questa condizione mentale, possiamo fare una buona ora di allenamento ma non possiamo imparare nulla poiché non siamo attenti a quello che stiamo facendo. Diventiamo semplici burattini che ripetono gli esercizi, fino al giorno in cui non ne traiamo più beneficio e ci scopriamo annoiati nell’eseguirli. 

 

È proprio in quei momenti che arriva un dolore, una scossa che ci sveglia dal torpore di movimenti ripetitivi e riporta la nostra attenzione al movimento e al disagio che, questo, eseguito meccanicamente, ci comporta. 

 

A quel punto ci resta solo una cosa da fare: 
provare a comprendere il nostro dolore.  

 

Grazie all'uso della scintigrafia cerebrale è stato riscontrato che nel cervello delle persone che soffrono di dolore cronico, le aree che lo percepiscono sono più estese. Si pensa che lo sviluppo di questi tessuti cerebrali in eccesso sia dovuto, in parte, alla maggiore attenzione che diamo al dolore e a quanto importante diventi per noi questo disagio. È una relazione tra cervello e corpo che mette in evidenza l'intervento della mente nell'esperienza del dolore. 

 

Quando soffriamo, tendiamo istintivamente a concentrarci sul dolore, a valutare la sua gravità, a parlarne fino allo sfinimento, a non comprendere le cause che lo creano e il vero significato biologico del dolore. Questi atteggiamenti possono solo aggravare la situazione e favorire l'ansia e la depressione. In questo modo, la mente è portata ad amplificare a dismisura il "dolore primario" aggiungendo, così, un "dolore secondario", causato dal pensiero che condiziona il corpo e che porta, spesso, ad aumentare il dolore. 

 

Vivere nel “mentale” alimenta quindi la paura e di conseguenza intensifica la percezione del dolore primario. Il lavoro sul corpo aiuta sia a prendersi cura del dolore in maniera topica, sia a dare il giusto peso al dolore, riportandolo a una dimensione fisica, biologica, reale senza condizionamenti e paure. Pertanto, è fondamentale riconoscere le forme del dolore e fare un lavoro sui due diversi piani: fisico e mentale. 

 

Il dolore primario è reale, appartiene alla realtà del corpo ed è sempre portatore di un messaggio semplice ma intenso. Il dolore secondario, invece, è frutto della reazione generata dalla paura, dalla narrazione che ne abbiamo imparato, dalla rabbia, dall’impotenza. 

Il dolore è sano ed è un nostro amico ma arriva con una serie di parassiti e accessori che, spesso, finiscono per trasformarsi nei nostri fantasmi. Molto spesso, infatti, si muore di paura. 

 

Il dolore primario è un segnale che comunica sempre qualcosa al corpo. La nostra mente, però, spesso, lo sporca, a volte lo amplifica, altre lo distorce facendogli perdere il suo vero scopo; è un amico prezioso dal quale possiamo capire molte cose: a esempio, possiamo comprendere che una certa posizione crea tensione al collo, che un particolare cibo provoca sensazioni di acidità, oppure che alcune situazioni, per noi fastidiose, ci invitano a prendere posizioni innaturali che col tempo presentano il conto sotto forma di un dolore ormai cronico. Se ci irritiamo con questo amico prezioso, se non lo stiamo sentire, perdiamo un’opportunità di crescita e di riconnessione importante tra mente e corpo. 

 

Il dolore secondario, invece, ci fa perdere la direzione. Accontenta le nostre paure e diventa un millantatore, così da offuscare la vera realtà della nostra persona e impersonificare totalmente il dolore. Con il dolore secondario, noi diventiamo il nostro dolore. Questo dolore è solito perdere la connotazione di aiutante/buon consigliere e tende a diventare il nostro sgradito tiranno. 

 

Il mio compito è quello di aiutarvi a focalizzare la vostra attenzione sul corpo e sulla vera realtà, insegnandovi a fare silenzio e a non amplificare l’idea del dolore. Vi accompagnerò in un percorso dove imparerete a non nascondervi nella paura ma ad ascoltare la vostra verità: voi. 

 

Cristiana 

 

DOPO LA LETTURA, PROVA QUESTI ESERCIZI

Scossa 

La scossa toglie la fatica e rompe il ritmo di lavoro, spezza una postura rimasta fissa per ore e crea un movimento energico e divertente, specie quando sei teso, innervosito o ansioso. 

Il gioco è riconoscere le zone del corpo che tendono a restare rigide per liberarle. 

 

Boomerang 

E per dare più slancio al gesto... Lancia lontano anche i pensieri, insieme, con le braccia, butta lontano le tensioni del corpo. A poco a poco, il movimento ripetuto ti inviterà ad abbandonare anche il rigido controllo della mente restando ben saldi con i piedi a terra.